“Direttiva Greenwashing” in vigore! Tutto parte dalla definizione di “certificazione”

La norma europea in vigore definisce per la prima volta cosa si deve intendere per “sistema di certificazione”, chi può esserne proprietario e quando si è di fronte ad una effettiva “terza parte”.
Per l’Europa il contrasto al greenwashing parte dalle definizioni.
Non solo: le nuove etichette ambientali possono entrare nel mercato ma solo se apportano un valore aggiunto.

Gli aspetti fondamentali della “Direttiva Greenwashing” in vigore

Pubblicata il 6 marzo e in vigore dal 26 marzo 2024 la cd. “Direttiva Greenwashing”, ovvero la direttiva 2024/825/UE (“Responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione”, che modifica la Direttiva 2005/29/Ce sulle pratiche commerciali sleali). 

Quali sono gli aspetti fondamentali della Direttiva (il cui testo, approvato in via definitiva dal Parlamento Ue il 17 gennaio 2024, è già noto da tempo)? 

  • Si chiarisce cosa si intende con sistema di certificazione (o etichetta) ambientale.
  • Si definisce il concetto di “terza parte” (se manca è pratica commerciale sleale).
  • Le nuove etichette private saranno ammesse ma solo se apportano un “valore aggiunto” sul mercato (quindi rispetto a quelle già esistenti.
  • Vengono definite le regole che devono stare alla base della messa sul mercato di nuove certificazioni, altrimenti le certificazioni dovranno essere proibite perché, appunto, lesive della concorrenza leale.

Il panorama normativo in fase di definizione

Ma partiamo dall’inizio. Il quadro normativo delle asserzioni ambientali (cd. green claims) è in fase di definizione e di forte cambiamento. Lo è per effetto di due importanti documenti che si avvicinano al termine del loro iter normativo comunitario. Si tratta della proposta di Direttiva Green Claims [1] del 22/3/2023, che è derivazione (lex specialis) della più ampia proposta di Direttiva responsabilizzazione consumatori, la  direttiva 2024/825/UE pubblicata il 6 marzo e in vigore dal 26 marzo 2024.

ll concetto di partenza è che uno dei maggiori rischi per la libertà di scelta del consumatore e della libera concorrenza tra le imprese, è rappresentato dal greenwashing. I consumatori, con le loro scelte green che devono essere libere e consapevoli, sono i veri motori del cambiamento.
Quindi prima di tutto la Direttiva sulla responsabilizzazione dei consumatori definisce l’elenco delle pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali e associate al greenwashing:

  • esibire un marchio di sostenibilità che non sia basato su un sistema di certificazione o non è stabilito da autorità pubbliche;
  • formulare un’asserzione ambientale generica per la quale il professionista non è in grado di dimostrare l’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali pertinenti all’asserzione;
  • formulare un’asserzione ambientale concernente il prodotto nel suo complesso quando riguarda soltanto un determinato aspetto;
  • presentare requisiti imposti per legge sul mercato dell’Unione per tutti i prodotti appartenenti a una data categoria come se fossero un tratto distintivo dell’offerta del professionista.

Il secondo passaggio fondamentale è che vengono per la prima volta [3] introdotte nel sistema due definizioni fondamentali: cosa si intende con “sistema di certificazione” e, di conseguenza, cosa si deve intendere con “terza parte”.

 

La definizione di “sistema di certificazione”

Per la Direttiva sulla responsabilizzazione dei consumatori la definizione si trova all’articolo 1 (Modifiche alla Direttiva 2005/29/CE) comma 1, lettera r):
– “sistema di certificazione”: un sistema di verifica da parte di terzi che certifica che un prodotto, un processo o un’impresa è conforme a determinati requisiti, che consente l’uso di un corrispondente marchio di sostenibilità e le cui condizioni, compresi i requisiti, sono accessibili al pubblico e soddisfano i criteri seguenti:
i) il sistema, nel rispetto di condizioni trasparenti, eque e non discriminatorie, è aperto a tutti gli operatori economici disposti e in grado di conformarsi ai suoi requisiti;
ii) i requisiti del sistema sono elaborati dal titolare dello stesso in consultazione con gli esperti pertinenti e i portatori di interessi;
iii) il sistema stabilisce procedure per affrontare i casi di non conformità ai requisiti del sistema e prevede la revoca o la sospensione dell’uso del marchio di sostenibilità da parte dell’operatore economico in caso di non conformità ai requisiti del sistema; e
iv) il monitoraggio della conformità dell’operatore economico ai requisiti del sistema è oggetto di una procedura obiettiva ed è svolto da un terzo la cui competenza e la cui indipendenza sia dal titolare del sistema sia dall’operatore economico si basano su norme e procedure internazionali, dell’Unione o nazionali;

Sulla definizione anche la Direttiva Green Claims è assolutamente coerente: con sistema di certificazione si intende (articolo 2, punto 10): “un sistema di verifica da parte di terzi che, nel rispetto di condizioni trasparenti, eque e non discriminatorie, è aperto a tutti i professionisti disposti e in grado di conformarsi ai suoi requisiti, il quale certifica che un dato prodotto è conforme a determinati requisiti e nel cui ambito il monitoraggio della conformità è oggettivo, basato su norme e procedure internazionali, unionali o nazionali, ed è svolto da un soggetto che è indipendente sia dal titolare del sistema sia dal professionista;”.

Quindi, nelle definizioni, i primi aspetti riportati riguardano l’affidabilità e la scientificità che devono stare alla base della definizione delle regole sulle quali l’etichetta ambientale si basa, che deve inoltre essere democratica e aperta.

La definizione di “terza parte”

Quello che è un aspetto inedito nel sistema normativo delle etichette ambientali è la definizione di “terza parte”: le verifiche per il rilascio della certificazione devono essere svolte da un soggetto indipendente e separato nella sostanza (e non solo formalmente) rispetto al titolare del sistema di certificazione e, ovviamente, rispetto all’azienda che chiede la certificazione. Nella sostanza, chi elabora e definisce un sistema di certificazione non può essere legato in alcun modo al soggetto che effettua le verifiche.

La violazione di questo aspetto è ritenuta pratica commerciale sleale (come spiegato nell’Explanatory Memorandum che precede la Proposta di Direttiva) per cui meritevole di sanzioni che dovranno essere attuate dagli Stati membri.

La proposta di Direttiva Green Claims è severa sul punto: “l’esposizione di un’etichetta di sostenibilità non basata su un sistema di certificazione o non istituita dalle autorità pubbliche costituisce una pratica commerciale sleale in tutte le circostanze. Ciò significa che sono vietate le etichette di sostenibilità “autocertificate”, ovvero quelle in cui non viene effettuata alcuna verifica da parte terza (come sopra definita)”.

Quindi, se non esiste una netta separazione dei soggetti, si ricade nell’auto-dichiarazione ambientale, strettamente vietata dalle nuove norme europee.

Il sistema di certificazione (o etichettatura) ambientale deve soddisfare le seguenti prescrizioni (articolo 8 direttiva Green claims):

  • le informazioni sulla titolarità e sugli organi decisionali del sistema di etichettatura ambientale sono trasparenti, accessibili gratuitamente, di facile comprensione e sufficientemente dettagliate;
  • le informazioni sugli obiettivi del sistema di etichettatura ambientale e sulle prescrizioni e procedure per monitorare la conformità dei sistemi di etichettatura ambientale sono trasparenti, accessibili gratuitamente, di facile comprensione e sufficientemente dettagliate;
  • le condizioni per aderire ai sistemi di etichettatura ambientale sono proporzionate alle dimensioni e al fatturato delle imprese così da non escludere le piccole e medie imprese;
  • le prescrizioni per il sistema di etichettatura ambientale sono state elaborate da esperti in grado di garantirne la solidità scientifica e sono state presentate per consultazione a un gruppo eterogeneo di portatori di interessi che le ha riesaminate garantendone la rilevanza dal punto di vista della società;
  • il sistema di etichettatura ambientale dispone di un meccanismo di risoluzione dei reclami e delle controversie;
  • il sistema di etichettatura ambientale stabilisce procedure per affrontare i casi di non conformità e prevede la revoca o la sospensione del marchio ambientale in caso di inosservanza persistente e flagrante delle prescrizioni del sistema.
 
 

La limitazione per nuove etichette ambientali

Viene poi normato che gli Stati membri non potranno più istituire nuovi sistemi nazionali o regionali di etichettatura ambientale, dalla data di entrata in vigore della direttiva, se non conformi al diritto dell’Ue e alle disposizioni della prossima Direttiva Green Claims.

Tuttavia, i sistemi nazionali o regionali di etichettatura ambientale istituiti prima dell’entrata in vigore della Direttiva possono continuare a rilasciare i marchi ambientali nel mercato dell’Unione, a condizione che soddisfino le prescrizioni della presente direttiva.

Per evitare l’ulteriore moltiplicarsi dei sistemi di etichettatura ambientale (“marchi di qualità ecologica”) di tipo I in conformità della norma EN ISO 14024 riconosciuti ufficialmente a livello nazionale o regionale e di altri sistemi di etichettatura ambientale, è opportuno che nuovi sistemi nazionali o regionali possano essere sviluppati soltanto in conformità del diritto dell’Unione.

Le sanzioni

In caso di violazione delle disposizioni sui marchi ambientali le sanzioni comprendono anche l’esclusione temporanea, per un periodo massimo di 12 mesi, dalle procedure di appalto pubblico e dall’accesso ai finanziamenti pubblici, comprese procedure di gara, sovvenzioni e concessioni.

Il documento comunitario spiega che attualmente sul mercato dell’Unione sono utilizzate più di 200 etichette ambientali. Presentano importanti differenze nel modo in cui operano per quanto riguarda, ad esempio, la trasparenza e la completezza delle norme o dei metodi utilizzati, la frequenza delle revisioni o il livello di audit o verifica. Queste differenze hanno un impatto sull’affidabilità delle informazioni comunicate sulle etichette ambientali. Sebbene le dichiarazioni basate sull’Ecolabel UE o sui suoi equivalenti nazionali seguano una solida base scientifica, abbiano uno sviluppo trasparente dei criteri, richiedano prove e verifiche da parte di terzi e prevedano un monitoraggio regolare, le prove suggeriscono che molte etichette ambientali attualmente sul mercato dell’UE sono fuorvianti. In particolare, molte etichette ambientali mancano di procedure di verifica affidabili. Pertanto, le dichiarazioni ambientali esplicite riportate sulle etichette ambientali dovranno essere basate su un sistema di certificazione, così come sopra definito.

La proposta di Direttiva Green claims stringe, come preannunciato sopra, sulla proliferazione di nuovi schemi proprietari privati, che quindi dovranno essere sottoposti ad una procedura di convalida preventiva, valutati dalle autorità nazionali e convalidati solo se dimostrano un valore aggiunto (articolo 8, comma 5) rispetto agli schemi già esistenti, in termini di caratteristica ambientale coperta, impatti ambientali, gruppo di categorie di prodotti o settore e la loro capacità di sostenere la transizione verde delle PMI rispetto ai regimi esistenti dell’Unione, nazionali o regionali. Per facilitare la valutazione del valore aggiunto, sarà pubblicata una lista delle etichette ambientali esistenti e affidabili.

I nuovi regimi privati saranno consentiti solo se possono mostrare ambizioni ambientali più elevate rispetto a quelli esistenti e ottenere quindi una pre-approvazione.


Per approfondire
Questions and Answers on European Green Claims

[1] Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla definizione e comunicazione di asserzioni ambientali esplicite (Direttiva “Green Claims”) COM (2023) 166 final

[2] Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione

[3] In realtà la definizione di “sistema di certificazione” era già presente nell’articolo 2 lettera s) della direttiva 2005/59/CE dell’11 maggio 2005 relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno.