Contenuto di riciclato negli EPS, chiarimenti sui sottoprodotti e certificazione Remade in Italy nell’intervista pubblicata sulla Rivista AIPE News.
L’intervista a Simona Faccioli, Direttrice Remade in Italy, è presente nel numero di gennaio 2023 della Rivista AIPE scaricabile qui.
Ne riportiamo integralmente il contenuto.
La recente revisione dei “CAM Edilizia” definisce specificatamente la “verifica dei criteri ambientali e mezzi di prova” dei materiali impiegati. In particolare per quanto riguarda l’EPS, le percentuali di riciclato e le modalità di verifica del contenuto di materiale. Ci può specificare meglio cosa comporta per l’EPS e perché è necessaria una certificazione?
È entrato in vigore da poco più di un mese il nuovo CAM Edilizia (Dm. 23 giugno 2022, vigente dal 4 dicembre 2022) e si può dire senz’altro che, almeno sulla carta, molti aspetti sono migliorati rispetto al CAM precedente. Un aspetto in particolare è di natura prettamente normativa, quindi fondamentale, ed è quello dei mezzi di prova sul contenuto di riciclato e/o sottoprodotti, tema che riguarda da vicino anche i prodotti in EPS e sul quale la “tornata” dei nuovi CAM pubblicati in agosto (edilizia, arredo e rifiuti) ha finalmente dissipato i dubbi e i contrasti interpretativi. Inoltre, nello specifico sono cambiate molte percentuali minime di riciclato richieste, tra le quali anche quelle per l’EPS e sono state introdotte alcune specifiche, finalizzate ad avere una maggiore trasparenza e confrontabilità dei prodotti certificati sul mercato.
Partiamo dai nuovi requisiti sul contenuto di riciclato per l’EPS. Il precedente CAM fissava la soglia minima del contenuto di riciclato al 10%[1] mentre il nuovo CAM la eleva al 15%, con la precisazione inoltre che almeno il 10% di questa quota deve essere materia riciclata da rifiuti (e quindi non provenire da sottoprodotto). Questa precisazione si inserisce nell’ambito di un chiarimento generale che il paragrafo 2.5.7. (Isolanti termici e acustici) del nuovo CAM inserisce ai punti a) e b): se il prodotto è costituito da un insieme di materiali isolanti e non isolanti (es. laterizio e isolante), i criteri fissati dal paragrafo stesso devono essere soddisfatti solo dal materiale isolante presenti nel prodotto finito. C’era bisogno di questa precisazione? Evidentemente sì perché sul mercato esistono prodotti costituiti da diversi materiali per i quali il contenuto minimo di riciclato è superato dal complesso dei materiali (tra i quali ci sono anche materiali non isolanti) e non solo dalla parte isolante.
Quindi, per essere concreti: il 15% del contenuto di riciclato deve essere superato solo dalla parte in EPS e non dal prodotto finito costituito da EPS + laterizio.
Ora, il nuovo CAM chiede, nello specifico, che l’EPS presente in un prodotto isolante costituito da diversi materiali, abbia almeno il 15% di materiale riciclato, in cui almeno il 10% derivi da riciclo di rifiuti (e non da sottoprodotti).
Nel senso della massima trasparenza, tutti questi elementi devono essere ben evidenti sul certificato e nell’etichetta legata alla certificazione. In Fig. 1 è rappresentata questa evidenza presente nell’etichetta Remade in Italy.
Fig. 1 – Le etichette Remade in Italy
Nel caso di prodotti multi-materiale (ovvero composti da diverse tipologie di materiali, che possono avere contenuti di riciclato differente) viene specificato in etichetta Remade in Italy (grande) il contenuto di riciclato in ciascuna componente, per una comunicazione corretta verso il mercato. Questa informazione di dettaglio è di fondamentale importanza quando le norme prescrivono limiti minimi di contenuto di riciclato riferiti solo ad uno (o a più di uno) tra i componenti del prodotto e non al suo complesso, come ad esempio nel caso degli isolamenti termici, spesso accoppiati con altri materiali. Il superamento della soglia minima di riciclato specifico negli EPS è richiesto, ad esempio, per poter accedere all’incentivo del Superbonus.
Lo stesso CAM Edilizia chiede che il contenuto di riciclato (o di sottoprodotti) sia dimostrata attraverso una certificazione (par. 2.5 “Specifiche tecniche per i prodotti da costruzione – Indicazioni per le Stazioni appaltanti”), certificazione che deve essere anche allegata alla relazione CAM di cui al par. 2.2.1.[2] Il CAM ammette un gruppo di certificazioni, che devono essere rilasciate da Organismi di certificazione accreditati per la specifica certificazione[3].
Nel gruppo delle certificazioni ammesse c’è ReMade in Italy, uno schema di certificazione accreditato per la verifica del contenuto di riciclato, al pari degli altri elencati, mentre dal novero delle certificazioni ammesse sono escluse le autodichiarazioni (ovvero le asserzioni ambientali auto-dichiarate conformi alla norma UNI EN ISO 14021). Questa è una novità significativa del nuovo CAM Edilizia, condivisa dagli altri CAM appena usciti e che quindi si suppone rimarrà come “precedente” per i prossimi CAM in uscita. Viene prevista una “exit strategy” per la auto-dichiarazioni ex 14021 presenti sul mercato al momento in cui il CAM Edilizia stesso entra in vigore (4 dicembre 2022) permettendo che queste restino in vigore per il periodo della loro validità, senza possibilità di rinnovo. Questo significa che, considerando il caso limite, una auto-dichiarazione ottenuta il giorno prima dell’entrata in vigore ovvero il 3 dicembre 2022, resterà in vigore fino al 3 dicembre 2023, dopo di che perderà la sua efficacia. Invece, un’auto-dichiarazione ottenuta il 5 dicembre 2022 non avrà alcun valore per gli appalti pubblici.
Ci racconta in cosa consiste la certificazione ReMade in Italy per riciclati e sottoprodotti?
I consumatori di oggi vogliono sapere di più sui prodotti, la loro storia, da dove arrivano e di cosa sono composti, da dove provengono i materiali, chi ha contribuito a realizzarli e quali vantaggi ambientali sono legati alle scelte fatte sugli approvvigionamenti. E sul tema della materia c’è una sensibilità sempre più favorevole sui nuovi materiali che derivano dal recupero, sicuramente veicolata dalla “circolarità” verso la quale sempre di più è orientata l’economia, dalla sempre più capillare applicazione dei CAM negli appalti, dagli incentivi (tra cui il Superbonus), dalla finanza, almeno negli intenti, sempre più sostenibile.
Ma Remade in Italy nasce prima dei CAM, proprio per dare spazio, voce e fiducia ai produttori made in Italy che utilizzano materia prima seconda derivante dal riciclo, con una combinazione di innovazione, design, sostenibilità ambientale e massime prestazioni apprezzatissima anche all’estero.
La certificazione Remade in Italy permette ad un’azienda di dichiarare il contenuto di riciclato (in % sul peso del prodotto) in un materiale, un semi-lavorato o un prodotto finito, realizzato con qualsiasi tipo di materiale e anche con materiali di diversa natura.
L’azienda per ottenere la certificazione deve implementare un sistema di tracciabilità (o meglio, di tracciamento) come definito dalle norme tecniche Remade in Italy[4] e che si basa su una serie di prescrizioni che riguardano aspetti relativi a fornitori, materiali in ingresso, processo produttivo, gestione e distribuzione, e anche all’organizzazione interna all’azienda.
È una certificazione rigorosa e non è infrequente che non possa venire concessa alle aziende o che queste, dopo un primo tentativo, ci rinuncino. Serve la massima trasparenza su tutti gli aspetti che sono relativi all’impiego di quei rifiuti o di quei sottoprodotti, per la fabbricazione de quel prodotto che si vuole certificare, da parte di quell’azienda e in quei processi produttivi.
La certificazione può essere rilasciata solo da Enti di certificazione che sono accreditati e fa fede anche in sede di gara; al momento sono ben 7 gli Enti che hanno ottenuto l’accreditamento e questo è un duplice segno positivo: da una parte questo è un segnale di gradimento del mercato per la certificazione che si sta rapidamente diffondendo, dall’altra le aziende possono scegliere le condizioni migliori che gli Enti sono in grado di offrire.
Non ha limitazioni di settori o di tipologia di materiali, e come già detto sopra, può applicarsi anche ai prodotti multi-materiali, comunicando il contenuto di riciclato o di sottoprodotti in ciascuno di questi, nel senso della massima trasparenza e per distanziarsi da pratiche di greenwashing che purtroppo non sono infrequenti.
Remade in Italy certifica anche il contenuto di sottoprodotti eventualmente presente nel prodotto, ma con doverose limitazioni. I sottoprodotti sono gli scarti di lavorazione, ovvero come dice la norma (art. 184-bis, Dlgs. 152/2006) ciò che “è generato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la sua produzione”. Al fine esclusivo della certificazione e quindi per poter essere contabilizzati nella quota di sottoprodotto certificata, sono esclusi i sottoprodotti reimpiegati nello stesso processo che li ha generati. Quindi sono ammessi i sottoprodotti di origine esterna al processo che li ha generati, in un’ottica di reale simbiosi industriale.
Questa esclusione del cd. “riciclo interno” si fonda su solide ragioni, sia normative sia tecniche, così come avvallate da ACCREDIA: solo con questa limitazione è garantita la tracciabilità (difficilmente verificabile nel caso di riciclo interno) anche per la quota di sottoprodotti contenuta nel prodotto certificato.
Così a nostro avviso va interpretato il CAM Edilizia, quando fa riferimento ad un contenuto minimo di sottoprodotti da avere in materiali o prodotti: in tale quota minima di sottoprodotti (quindi anche quel 5% minimo per l’EPS) vanno esclusi quelli derivanti dal reimpiego degli scarti nello stesso processo che ha generato il materiale/sottoprodotto. Così come lo stesso CAM Edilizia specifica per il contenuto di sottoprodotti nelle bioplastiche[5].
Intendendo al contrario, avremmo infatti un “effetto paradosso”: anche se non tutti, la stragrande maggioranza dei materiali/prodotti sul mercato contiene una certa quantità dei propri scarti e pertanto tale indicazione non sarebbe selettiva dei materiali/prodotti più sostenibili dal punto di vista ambientale, oltretutto visto che il reimpiego interno degli scarti risponde prioritariamente ad un’esigenza di efficienza di processo (seppur con risvolti ambientali) piuttosto che ad una scelta ambientalmente preordinata. Oltre al fatto, da ultimo ma non di importanza, che tale intendimento sarebbe contrario al disposto normativo[6].
Infine, due parole sull’etichetta che viene rilasciata dopo l’emissione del certificato da parte dell’Ente di certificazione e che rappresenta lo strumento a disposizione delle aziende per comunicare gli aspetti ambientali del proprio prodotto.
L’etichetta, che può anche essere apposta direttamente sul prodotto certificato (per questo c’è anche la forma ridotta; si veda Fig. 1), riporta in modo immediato per il consumatore gli impatti ambientali derivanti dall’impiego di materiale riciclato o di sottoprodotti al posto di materiale vergine.
Non si tratta “solo” del risparmio di materia: l’impiego di riciclato comporta una significativa riduzione di emissioni di CO2 e la riduzione dei consumi energetici, aspetti che devono esserecomunicati efficacemente al mercato e ai consumatori finali.
Quali sono i requisiti per ottenerla?
Questa certificazione è focalizzata sul contenuto di riciclato e/o sottoprodotti presenti nel materiale, nel semilavorato o nel prodotto finito e non considera altre prestazioni o altri aspetti ambientali del prodotto. Dato questo suo “focus” specifico e pur essendo molto rigorosa per quanto riguarda la documentazione e le evidenze da dare sui materiali e sul processo, la certificazione può essere ottenuta piuttosto agevolmente dalle aziende trasparenti (meglio se ben organizzate…), con un impegno di risorse, economiche e lavorative, che nulla ha a che vedere con quelle necessarie ad ottenere una certificazione ambientale che considera l’intero ciclo di vita del prodotto.
Può essere ottenuta se si utilizzano materiali che derivano da rifiuti o da sottoprodotti (anche provenienti dall’estero) e se la produzione avviene prevalentemente in Italia: significa che almeno la fase prevalente del processo o l’ultima fase che ho modificato la struttura, la funzione o l’aspetto del prodotto deve avvenire in Italia. Questo dell’”italianità” è un requisito storico della certificazione, che inizialmente voleva appunto premiare e promuovere il made in Italy realizzato con materiali riciclati. Tale aspetto è ancora molto apprezzato da molte aziende che si certificano soprattutto nell’ottica di esportare i prodotti certificati e che proprio nel marchio Remade in Italy ricevono un elemento di promozione verso i mercati esteri.
Pensando al futuro e ad una edilizia sempre più sostenibile, che scenario immagina per i materiali isolanti?
La percezione che abbiamo è quella di un mercato dei materiali isolanti in continua crescita e sempre più orientato a comunicare l’aspetto di sostenibilità ambientale delle soluzioni proposte, in particolar modo per quello che riguarda il contenuto di riciclato e la riduzione di CO2 a questo legata.
È anche un settore in cui è necessario fare chiarezza, per garantire la massima trasparenza e la corretta concorrenza tra i prodotti certificati: occorre distinguere tra i diversi materiali che compongono eventualmente il prodotto certificato, così come occorre identificare i sottoprodotti ammissibili nella certificazione, ovvero quelli post consumo.
È certamente un comparto altamente vivace e caratterizzante per la sostenibilità del settore edilizia, nel quale i materiali isolanti si presentano sempre più “circolari” e in tal senso sempre più legati alla certificazione che sia in grado di profilarne il carattere di sostenibilità ambientale, e di rendicontare così i benefici ambientali nell’ambito dell’edilizia e dei suoi protocolli di sostenibilità.
Il mercato dei materiali isolanti sta dimostrando di poter andare anche al di là dell’incentivo del Superbonus (che sarà protratto seppur con condizioni diverse) che sicuramente è servito per aprire ai prodotti, che ora si sono imposti sul mercato, con caratteristiche di sostenibilità ambientale, tra cui quella sul contenuto di riciclato che li rende prodotti qualificanti della circolarità in edilizia.
[1] In realtà il precedente CAM Edilizia fissava la soglia minima con un range che per l’EPS era dal 10% al 60%, (“in funzione della tecnologia adottata per la produzione”): ci si chiedeva se e in quale caso la soglia fosse superiore al 10% e chi dovesse stabilire il valore minimo.
[2] Per quanta riguarda il contenuto di riciclato e le certificazioni richieste, il tenore dei due paragrafi è identico.
[3] Sulla necessità dell’accreditamento specifico, par. 1.3.4. “Verifica dei criteri ambientali e mezzi di prova”, che correttamente recepisce il contenuto in tal senso dell’articolo 82 del Codice appalti (Dlgs. 50/2016) “Relazioni di prova, certificazioni e altri mezzi di prova”. Per poter rilasciare una certificazione, quindi, un Ente di certificazione deve conseguire la relativa attestazione da parte dell’Ente di accreditamento nazionale (In Italia Accredia), che ne ha verificato l’idoneità in termini di organizzazione, indipendenza e competenza specifica sul tema.
[4] I Disciplinari tecnici per il rilascio della certificazione Remade in Italy sono liberamente scaricabili dal sito www.remadeinitaly.it Sezione Documentazione tecnica
[5] Nel CAM Edilizia, par. “Specifiche tecniche per i prodotti da costruzione – Indicazioni per le Stazioni appaltanti” e 2.2.1 “Relazione CAM”: “Le plastiche a base biologica consentite sono quelle la cui materia prima sia derivante da una attività di recupero o sia un sottoprodotto generato da altri processi produttivi.”
[6] La base normativa per la “certificabilità” del contenuto di sottoprodotti risiede storicamente nella norma ISO 14021, considerabile come la norma “madre” degli schemi di certificazione sul contenuto di riciclato; tale norma esclude espressamente che possa essere auto-dichiarato (e quindi, poi certificato) il “riciclo interno”, ovvero il contenuto di sottoprodotti pre-consumo: “Pre-consumer material: Material diverted from the waste stream during a manufacturing process. Excluded is reutilization of materials such as rework, regrind or scrap generated in a process and capable of being reclaimed within the same process that generated it.” (cfr. UNI EN ISO 14021, 7.8.1.1, a-1).”